Si è arrampicata sull’albero e si è lasciata cadere, dopo avere fissato i due estremi della corda, uno ad un ramo in alto e l’altro al suo collo. Se ne è andata così, tra lo stupore incredulo di tutti. Un atto decisamente inusuale per la cultura borana; un atto contro natura. Era sana di mente; nessun esito di malaria cerebrale. Vedova da non molto. Qualche contrasto con la figlia e qualcosa a riguardo di due cammelli. Forse anche questo gesto fa parte della nuova cultura che avanza; quella che uccide la speranza. La solidarietà del gruppo comincia a venire meno quando tutti sono privi di tutto; nulla possono offrire. Un gesto che ha obbligato a riflettere. Un gesto disperato in un mondo dimenticato.
Oggi un’altra donna ha emulato lo sconsiderato gesto di ieri; ma qualcuno è intervenuto tagliando la corda in tempo utile. Vivrà e dovrà rispondere di questo suo gesto alla polizia. La legge borana, certo, gli ha già concesso il perdono consuetudinario.
Un volto scavato; un cranio ricoperto dalla sola pelle; occhi infossati in orbite sproporzionate per grandezza; rughe che dichiarano un’età biologica ben più avanzata di quella cronologica … Riconosco la persona dai suoi connotati che non sono cambiati. Lineamenti delicati; movimenti sinuosi e graziati, quasi musicali… La ricordo ben diversamente in carne, solo pochi mesi fa. Tace; mi guarda intensamente da dietro la rete della finestra. Chiede; con la sola presenza silenziosa. Mi vergogno; vorrei scomparire sprofondando. Non ho risposte da potere dare a quel silenzio che sa già di morte Muto mi allontano, uccidendo anche la sua ultima speranza.
Ora è certezza: al momento è la fame il primo dei problemi, seguito da quello di sempre che è l’insufficienza dell’acqua. Chi di loro raggiunge la mia casa è tra i più disperati. Una silenziosa presenza che costituisce un’incessante fila che chiede di essere ascoltata. Qualcuno ha percorso Km. Tutti sono sostenuti da una speranza in un aiuto tangibile … che io non ho più da dare. Tante storie personali si affacciano su quei volti inscheletriti. Storie assurde ed insopportabili al solo sentirle narrare. Inimmaginabili per le nostre realtà di vita. Io non riesco a sopportarle. Provo ad ignorarle allontanandole dai miei pensieri. Cerco di difendermi legando la mia mente solo al nuovo progetto per un villaggio orfani; come volessi convincermi che il senso della mia presenza qui debba essere solo quello. Non ho più “cartucce da sparare”. Non ho i mezzi economici per rispondere al fuoco delle richieste e dei più che evidenti e terrificanti bisogni della gente che mi circonda. Non ce la faccio a sopportare tutte queste emozioni; questo assalto di povertà. Non vado via, perchè so che anche lontano da qui queste sensazioni non mi abbandoneranno, rendendomi amaro qualsiasi futuro. Confronti impossibili che evidenziano costantemente l’ingiustizia di questo mondo.
Così vivo male e mi condanno a vivere costantemente male. So benissimo che con la ragione posso trovare ed impormi centinaia di scusanti. In fondo è proprio ciò che fanno tutti; altrimenti questa assurda realtà neppure esisterebbe. La ragione aiuta a dare un corretto senso alle cose; ma sono i sentimenti quelli che uccidono dentro. Resto. Non si tratta di essere masochisti. Si tratta di essere convinti che nella vita non si può cercare di avere sempre e solo ciò che piace; specie se viene pagato con la sofferenza di altri ingiustamente colpiti. Occorre fare ciò di cui si è convinti che sia giusto, costi quel che costi. Saremo sopraffatti ? Cannibalizzati dai bisogni altrui ? Resi impotenti dal mancato supporto di chi oggi condivide il valore di questa lotta ? …
La pancia è gonfia per l’ascite; la diagnosi è resa ovvia dal corpo ridotto a scheletro. Ha solo fame e chiede cibo. Non ho più nulla da distribuire. Questo è il popolo dimenticato. Resto a testimoniare che non è vero. Che ci siamo anche noi e che siamo in tanti a volere fare qualcosa. Testimonio che sono ancora in molti coloro che non possono venire e che non sanno come fare pervenire una concreta solidarietà per loro; …
Resto a testimoniare una speranza che sovente si traduce in un’agonia. Vedo morire durante la lunga attesa, prima che altri riescano a sentire, capire, accorgersi che esistono anche loro.
Ho problemi di stomaco”. E’ un fantasma il ragazzo che con questa frase mi sta chiedendo cibo.
“Io non ho più la mamma”. mi racconta lo scheletro di un bambino di pochissimi anni, forse cinque, che mi segue costantemente.
Appoggiato al suo bastone, secco quanto lui, un vecchio dignitosamente tace. Per lui parlano le immagini di un passato che scorre come un film nei suoi occhi. Lui è riuscito a sopravvivervi fino ad oggi e non scommette più per il domani.
Sono questi i pesi che il mio animo non riesce più a tollerare. Le parole non sanno rendere i fatti e chi legge questi sfoghi liberatori vi vede solo becero pietismo. Un solo invito che vale per tutti: venite a vedere; aprite la mente, aprite gli occhi, aprite il cuore e non potrete più dimenticare, se siete esseri umani. Questi nostri fratelli sono della stessa nostra specie: Uomini.
A cena con loro ad Amballo
La fioca luce illumina, da una lampada a petrolio, il piccolo tavolino sul quale vi è un unico piatto con i pezzetti di carne di capra bollita. Intorno, sotto alle stelle, una panca e cinque sgabellini tradizionali sui quali trovano posto gli ospiti e gli anziani più carismatici. Gli altri siedono a terra, poco lontano, nel buio. Il vociare femminile indica la presenza delle donne-cuoche all’interno della vicina capanna-cucina. Qualche muggito giunge dalla seconda capanna, quella che accoglie di notte la mandria dei vitellini da latte. Ancora, poco lontano nel boma, che è il recinto che protegge le bestie, si sente il muoversi degli animali adulti. Tre o quattro cani, anch’essi resi pelle ed ossa, si aggirano aspettando improbabili bocconi ed abbaiano di tanto in tanto alla iena che sembra voler partecipare al banchetto. Gli uomini, servendosi con le mani dall’unico piatto, parlavano, parlavano soffermandosi tra un boccone e l’altro, quasi a rendere più lungo il rito. Parlava uno alla volta, rompendo da solo l’interessato silenzio degli altri. L’intercalare di una semplice litania del gruppo, al termine di ogni frase che veniva pronunciata dall’oratore, era la prova dell’attento ascoltare. Talvolta una corale risata sottolineava la contenuta ironia dell’oratore.
Due ragazzini portarono l’acqua per lavare le punta delle dita prima e dopo la cena. Cosi anche l’acqua da bere veniva offerta, come l’oggetto più prezioso, da ragazzine vezzose come lo può essere ogni bambina di questo mondo sentendosi importanti nel loro ruolo pubblico di damigella. Il sindaco, l’anziano responsabile del gruppo, era raggiante, euforico seppure sempre attento al ruolo connesso alla sua autorità. Felice di potere fare gli onori di casa e di mostrare alla sua gente come quella sera fossero presenti così tanti ospiti interessati alla vita della comunità di Amballo. Continuava a ripetere: “sembra di essere in città” e la sua fantasia si perdeva in progetti e sogni che, se si avvereranno, non potranno essere realtà prima di qualche anno. “Abbiamo ben due macchine ed un camion che trascorreranno qui la notte … “ Si trattava delle nostre due auto che hanno reso in loco il normale servizio della clinica mobile e del cinema itinerante Il camion era l’autocisterna governativa, quella che abbiamo casualmente incontrato e convinto, pagando, a deviare e a fare due viaggi di 210 Km l’uno. E’ andata durante la notte fino ai pozzi di Walda per trasportare qui un complessivo di 14.000 litri di acqua potabile. Nel raggio di 80 – 100 Km, non vi sono altri pozzi e le raccolte dell’acqua piovana sono già tutte prosciugate da tempo. Convocati gli anziani, il sindaco ha impartito le sue disposizioni. Ogni famiglia avrebbe potuto attingere non più di 20 litri al giorno di quell’acqua e per esclusivo uso potabile. Per ogni altra esigenza vige l’obbligo di attingere l’acqua salata del pozzo. Solo così l’acqua da noi regalata avrebbe potuto bastare per circa un mese; attendendo e sperando l’arrivo delle piogge stagionali. Oggi si respira l’odore della pioggia …speriamo.